Il convegno organizzato da Università Cattolica e Confapi Industria
ha indagato gli aspetti legali dei contratti, gli incentivi
per le aziende e la collaborazione fra queste ultime e gli atenei
«Per l’impresa l’innovazione è una necessità, un mezzo di adeguamento ai tempi e una strategia concorrenziale, è qualcosa di indispensabile per la propria crescita». Dall’incipit dell’intervento di Silvia Jondini, Managing Partner JSL Studio, si coglie in maniera immediata l’attualità dell’incontro “Investire in ricerca e sviluppo. Opportunità per le imprese”, organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con Confapi Industria Piacenza, andato in scena nella sala Piana dell’ateneo piacentino.
Introdotto da Marco Trevisan, preside della facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali - «l’ecosistema della ricerca serve per fare crescere sia le imprese sia le università, cosa che accade proprio grazie alle ricerche che vengono compiute» dice il preside - e dopo i saluti di Anna Paola Cavanna, vicepresidente di Confapi con delega alla sostenibilità - «il nostro obiettivo è fare rete mettendo insieme l’università, gli istituti di ricerca e le aziende» - tocca ad Andrea Paparo, direttore di Confapi, portare alcuni numeri per inquadrare il tema trattato. «Nel 2019, per le spese di Ricerca e Sviluppo i dati Istat indicano che si sono spesi 26,3 miliardi di euro, costi trainati dalle imprese con 16,6 miliardi (63,2% della spesa complessiva). E sebbene l’attività di Ricerca e Sviluppo sia dominata dalle grandi aziende, la spesa ad essa dedicata dalle piccole (con meno di 50 dipendenti) continua a crescere con un più 5,9% rispetto al 2018».
Una voce, quella dei costi di Ricerca e Sviluppo, più sostenuta nei servizi rispetto alla manifattura, mentre il personale impiegato per tale attività è stato nel 2019 di 544mila addetti.
Con queste premesse inizia l’intervento “Da industria 4.0 a transizione 4.0” di Roberto Triolo, commercialista e Ceo di Ransomtax, che si è soffermato sugli incentivi per le imprese e sul credito d’imposta per la Ricerca e Sviluppo. «Quest’ultimo - dice Triolo - è uno dei più importanti strumenti che hanno sostenuto in questi anni le aziende italiane». «L’industria 4.0 - spiega - è il piano che vuole inserire in fabbrica la sensoristica, cercando di digitalizzare l’azienda per portarla a livelli di efficienza più alta».
Quindi Triolo ha spiegato come «l’agenzia delle entrate, per fare meglio comprendere il concetto di Ricerca e Sviluppo abbia fatto riferimento al Manuale di Frascati», che identifica i requisiti che un’attività deve possedere per essere inquadrata e quindi agevolata: novità, creatività, incertezza, sistematicità, trasferibilità e riproducibilità. «Non siamo d’accordo con tale interpretazione - dice però Triolo - perché è un appesantimento del concetto iniziale. Ad esempio, un’azienda riguardo al requisito di novità si domanda: come faccio a sapere se l’aspetto indagato è nuovo o meno rispetto a un mercato potenzialmente infinito?».
Tra i costi che più spesso sono agevolati, dice ancora Triolo, ci sono quelli del personale impiegato nell’attività, tranne quello logistico o amministrativo, quello relativo alle attrezzature di laboratorio e alle competenze tecniche che servono per produrre il brevetto.
Triolo si sofferma anche sulla ricerca che coinvolge aziende e università, dato che queste ultime rappresentano il punto di riferimento per chi svolge l’attività di Ricerca e Sviluppo. Tema approfondito negli interventi successivi di Silvia Jondini e dell’avvocato Beatrice la Porta (Managing Partner JSL Studio). Parlando de “Il prodotto sperimentale” Jondini spiega i vari quesiti che si aprono alla stipula di un contratto: di chi sono i diritti se l’idea è del dipendente? Se la Ricerca e Sviluppo è realizzata in collaborazione con l’università quale riconoscimento va al ricercatore?
Si è parlato in sintesi di proprietà del brevetto e sua utilizzazione e riconoscimento in termini retributivi, partendo dalla differenza fra diritto morale ed economico. «Il primo - dice Jondini - è il diritto a essere riconosciuto autore dell’invenzione, il secondo è quello di trarne profitto».
In un’azienda, continua, può verificarsi «il caso dell’invenzione di servizio, creazione che è opera di un dipendente che come oggetto del proprio contratto ha prevista l’attività di ideazione e ricerca; di conseguenza, la sua attività è retribuita». In tal caso l’inventore ha solo il diritto morale di essere riconosciuto autore, mentre il datore di lavoro ha il diritto all’eventuale sfruttamento del brevetto.
L’Invenzione di azienda è invece realizzata dal dipendente a contratto, il quale però non ha fissata alcuna retribuzione in caso di invenzione. «Il datore di lavoro - chiarisce Jondini - in questo caso ha diritto a godere del brevetto, ma al lavoratore occorre una ricompensa che non era prevista nel contratto».
Ci sono infine le invenzioni occasionali, realizzate al di fuori dell’attività lavorativa: al datore di lavoro è riconosciuta un’opzione sull’uso dell’invenzione.
Se l’invenzione avviene invece in ambito universitario perché creata dal ricercatore le cose sono differenti. «Il ricercatore che lavora con un’università o con un’istituzione che ha come scopo l’attività di ricerca è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore».
I contratti di Ricerca e Sviluppo sono stati infine definiti in termini legali da Beatrice La Porta. «La possibilità di avere un ritorno economico dall’invenzione avvenuta durante la ricerca fa sì che i contratti debbano essere chiari e completi, per evitare che sorgano dubbi in un secondo momento, soprattutto riguardo a chi deve beneficiarne». La precisione con cui è realizzato un contratto è dunque fondamentale affinché una piccola e media impresa non si ritrovi, in seguito a un nuovo brevetto, a contare i danni e a sentirsi pure beffata.