Il sondaggio completo fra 500 sedicenni curato da Confapi rivela aspetti inattesi: per esempio lo scarso appeal degli influencer
Confusi su tutto, o quasi. Ma non su un punto: i giovani voglio tenere insieme il lavoro e il benessere personale. E nel merito i tanto acclamati influencer non sono fra i modelli inseguiti dai sedicenni.
Un po’ se ne erano accorti i datori, quei dinieghi ai turni di sabato e di domenica...ma fra i cinquecento ragazzi delle terze superiori di licei e scuole tecniche della provincia, sondati dal questionario di Confapi Industria, l’aspirazione ad una occupazione condita da una libertà felice (cercata dal 46%) inizia davvero presto. Il report ora è completo, ne fu dato un assaggio l’11 giugno all’assemblea Confapi dal presidente Giacomo Ponginibbi.
Riassumiamo qualche dato: anzitutto c’è poca fiducia sul tanto sbandierato orientamento in terza media: serve? abbastanza per il 41%, poco per il 28%, nulla per il 10% e si vorrebbero più visite a scuola, più informazioni ma nelle scelte poi decidono da soli (sono io stesso a influenzarmi dice il 45%).
Paolo Rizzi, direttore del Lel della Cattolica, il Laboratorio di economia locale, vede nelle risposte «confusione e incertezza, più di due terzi non sanno cosa faranno sul lavoro futuro». Sanno però - dato in fondo remissivo - che la competenza più importante è la capacità di adattamento (49%) seguita dalle lingue (48%). Rizzi si sofferma poi su un aspetto curioso circa i modelli di riferimento: “non ne ho nessuno” dichiara il 36 per cento, seguono gli imprenditori famosi (13%), e a scendere papà, mamma , parenti, personaggi dello spettacolo e influencer ridotti sorprendentemente al 2 per cento.
«I modelli di riferimento nel lavoro e nella vita sono davvero molto frammentati e pur nel diluvio di immagini i giovani ne hanno meno delle generazioni precedenti» conviene Rizzi, che a sua volta per Comune e Regione sta curando un sondaggio sul lavoro ideale fra 2 mila giovani. « Preoccupa quel 27% che pensa di poter abbandonare la scuola nonostante che il ministro dell’istruzione e del merito parli oggi di una diminuzione della dispersione scolastica».
Fin qui le ombre, ma c’è un’altra faccia della medaglia, un certo realismo, l’idea che si lavora meglio nella piccola e micro impresa più a contatto con il territorio, più “umana” ma è nella grande che fioriscono opportunità di lavoro (69%) e facilità di carriera. Bene invece - anche se il 65% ha poco chiaro il lavoro che farà - quella certa lungimiranza sulle lauree e i percorsi di studio che danno migliori occasioni : «primi nell’ordine: economia, medicina, anche l’indirizzo scientifico e ingegneristico vanno per la maggiore per garanzie di lavoro e stipendio alto». Le prime due voci assieme pesano per ben il 45%. Nessuno opta per il cinema e la celebrata comunicazione oggi guadagna solo il 2 per cento. Un cosa spiace, argomenta Rizzi, se è un bene la tensione dichiarata al benessere e alla stabilità è invece negativo quel ridotto 20 per cento che si interessa dell’utilità sociale del lavoro ideale: «deve farci riflettere».
Colpisce infine quel primo valore desiderato dal lavoro: il prestigio sociale (55%) mentre lo stipendio sta all’ultimo posto (2%).