Dalla Confapi l'allarme per l'indotto - Camisa: «Aziende in grave sofferenza»
La Gazzetta del Mezzogiorno – 23/12/2023
MARISTELLA MASSARI
Taranto. La fase di stallo in cui sembra essersi arenata la vertenza dell'ex Ilva di Taranto preoccupa non solo i sindacati dei lavoratori, ma anche le piccole e medie industrie che gravitano intorno all'orbita della fabbrica dell'acciaio. L'indotto avanza cifre da capogiro da Acciaierie d'Italia per commesse eseguite e fatture mai saldate. A rappresentare in Italia oltre 40mila imprese del settore metalmeccanico, per un totale di circa 400mila dipendenti, c'è la Confapi, Confederazione italiana della piccola e media industria privata, guidata da novembre 2022 da Cristian Camisa.
Presidente Camisa quali sono le vostre preoccupazioni?
«L'azienda è praticamente scomparsa dal mercato italiano, con volumi di vendita nel 2023 che sono stati estremamente esigui, non si è arrivati nemmeno a 2,8 milioni di tonnellate. E una situazione estremamente complicata alla quale poi si sono andati ad aggiungere sia lo spegnimento dell'altoforno 5, sia quello 2 e non si intravedono politiche di rilancio per i prossimi mesi. L'azienda sembra non avere un interesse di natura industriale, ma piuttosto di natura commerciale. Operando in questo modo esercita il controllo su un polo che fino a pochi anni fa era il polo più competitivo a livello europeo, un temibile concorrente che garantiva anche una grande competitività appunto al sistema industriale italiano».
Le piccole e medie industrie che lei rappresenta cosa temono?
«Si parla davvero troppo poco dell'indotto, che è composto in gran parte da aziende nostre associate. Gli imprenditori stanno vivendo una situazione estremamente complicata e anche se c'è stato un parziale sblocco di alcuni pagamenti che hanno permesso di pagare le tredicesime ai dipendenti, noi rischiamo non solo un danno a livello industriale perché la seconda potenza manifatturiera europea non può permettersi in un momento come questo di non avere un'acciaieria che parte dal minerale di ferro, ma rischiamo di fallire con le nostre aziende e perdere così un know-how che ci ha permesso nel corso degli anni di essere un punto straordinario per la competitività del nostro sistema industriale».
Voi avere elaborato una proposta?
«Non avere un polo come quello siderurgico di Taranto significa avere dei riflessi molto negativi su tutto il sistema industriale paese e questo penso che non ce lo possiamo permettere. Siamo consci che il governo ha giustamente cercato di garantire l'italianità del polo, ma forse ora è arrivato il momento di lavorare su obiettivi a lungo termine. La nostra proposta è quella di provare ad aprire ad acciaierie extracomunitarie perché noi pensiamo che questa possa essere una soluzione anche in virtù dell'introduzione del "Cbam", il Regolamento europeo sul meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere per impedire che le merci importate da Paesi extra-Ue godano di indebito vantaggio competitivo. In questa fase storica potrebbe essere interessante per le aziende extra Ue creare un polo anche in Italia e dunque in Europa per andare a bypassare questa tassazione che, da uno studio che abbiamo fatto, avrebbe un'incidenza percentuale attorno al 12% sulla materia prima, quindi estremamente importante. Visto che l'italianità non si riesce a garantire perché in questo momento le altre acciaierie italiane non hanno mostrato quell'interesse necessario e visto che esiste il rischio che si arrivi a uno spezzatino di Ilva con alcuni player che andranno ad acquisire solo le cose interessanti e il conseguente effetto disastroso sull'indotto, io penso che ora la politica industriale debba andare a difendere il mondo della trasformazione. Quindi aprire oggi a player extra europei potrebbe essere una soluzione auspicabile. Ci sono aziende che stanno facendo investimenti estremamente importanti e un polo come quello di Taranto è più che appetibile».
Al governo cosa chiedete?
«Una presa di posizione forte. Questo chiediamo. Perché il settore della trasformazione è il settore trainante del sistema paese e lo abbiamo visto anche quando è scoppiata la guerra russo-ucraina. Poi chiediamo maggiore attenzione alla programmazione. Noi non viviamo alla giornata. Le aziende per poter essere innovative ed efficienti devono poter avere programmazione. Oggi le nostre aziende non hanno commesse da Acciaierie d'Italia ed è un danno per l'indotto perché gli imprenditori non possono fare programmazione, non possono fare investimenti e questo, a medio e lungo termine, rischia di segnare per sempre il destino delle nostre industrie».