ConfapiD riunisce decine di donne imprenditrici. La presidente Boselli: «Siamo un gruppo eterogeneo e non etichettabile»
Se dovessimo usare una metafora, potremmo dire che fotografare l’imprenditoria femminile con un unico scatto è impossibile. Impresa che neppure Cartier-Bresson potrebbe superare.
«Il fatto è che non siamo una categoria omogenea – spiega Barbara Boselli che guida le donne imprenditrici del gruppo ConfapiD di Confapi Industria Piacenza – e sai perché non lo siamo? Perché ognuna ha la sua storia, un proprio bagaglio culturale, un motivo per cui ha deciso di avvicinarsi all’imprenditoria». Fra una decina di giorni sarà l’8 marzo, la festa della donna: abbiamo deciso di dedicare una pagina a chi - le imprenditrici di ConfapiD – ogni giorno misura la complessità di gestire o lavorare in un’azienda, di avere o non avere una famiglia, di imporsi in un mondo che non sempre è disposto a cedere il passo (o quanto meno a rispettare) l’altra metà del cielo.
«Ci sono delle complessità comuni, certo, ma l’imprenditoria femminile è difficilmente etichettabile - spiega Boselli - partiamo dai motivi per cui ad esempio le donne si avvicinano all’imprenditoria: le più giovani e istruite sono spesso spinte dal desiderio di autonomia, dalla voglia di non dipendere da un capo o di gestire liberamente la propria giornata lavorativa. Le più adulte invece considerano il lavoro in proprio come un modo per rientrare nel mercato del lavoro che avevano lasciato tanti anni prima per crescere i bambini. Sono differenti anche le modalità d’ingresso nella professione».
Un esempio?
«Le donne che avviano un’impresa spesso lo fanno dopo aver accumulato esperienza lavorativa in altri settori e questo può significare che iniziano la loro carriera imprenditoriale più tardi nella vita. Inoltre tendono a costruire una rete di supporto solida prima di lanciarsi in un’attività: questo richiede tempo».
Anche per lei è stato così?
«Sì. Avevo iniziato come dipendente prima di convertirmi alla libera professione».
In una recentissima indagine realizzata dalla Camera di Commercio dell’Emilia che fotografa l’imprenditoria femminile a Piacenza a dicembre 2024, si nota come il tasso di età delle imprenditrici sia alto: oltre il 64 % delle donne che fanno impresa ha più di 50 anni. Secondo lei perché?
«La crescita delle attività imprenditoriali delle donne si è verificata soprattutto in coincidenza del processo di terziarizzazione che ha investito l’economia a partire dagli anni Settanta e che ha permesso un importante mutamento all’interno della società: sono emersi degli spazi di lavoro in proprio nei quali le donne hanno individuato delle opportunità d’ingresso. In contemporanea la crescita della scolarizzazione femminile ha fatto in modo che le donne cominciassero a svolgere anche professioni che venivano considerate tradizionalmente maschili, come il medico, l’avvocato e appunto l’imprenditore».
In quest’ottica è interessante notare che sempre a Piacenza la presenza femminile è concentrata in un settore considerato tradizionalmente poco “femminile” come l’agricoltura: sono 719 le imprese di donne attive nella coltivazione di uva e cereali.
«In questo settore le donne si sono fatte largo a forza di impegno, innovazione, attenzione alla sostenibilità e alla responsabilità sociale e man mano stanno assumendo sempre più ruoli di leadership in ambito agricolo, sia in aziende familiari sia attraverso nuove imprese. Fra l’altro le donne nel settore agricolo tendono ad essere molto sensibili ai temi della sostenibilità ambientale, della produzione biologica e della sicurezza alimentare».
Quali sono le problematiche con cui oggi le imprenditrici si scontrano?
«Per costruire una società realmente equa, sostenibile e inclusiva, non basta perseguire la parità numerica o analizzare il divario di genere nelle cariche aziendali. Le differenze esistono, e spesso la normativa non fornisce strumenti adeguati per affrontarle. Un esempio concreto è la maternità facoltativa, oggi retribuita al 100% per diversi mesi: una misura che, pur essendo un sostegno importante, rischia di incentivare l’allontanamento dal mondo del lavoro invece di favorire un’effettiva conciliazione tra vita professionale e familiare. All’interno di ConfapiD, il nostro gruppo dedicato alla valorizzazione della diversità, questi temi sono centrali: vogliamo andare oltre la semplice analisi dello stato di fatto, coinvolgendo le istituzioni nella promozione di politiche che non si concentrino esclusivamente sulla donna, ma sulla famiglia nel suo complesso. Crediamo fortemente che un ambiente di lavoro in grado di supportare l’equilibrio tra vita privata e professionale, per entrambi i genitori, possa non solo migliorare la produttività aziendale, ma anche contribuire ad arginare il declino demografico».