CRISI RUSSIA-UCRAINA, A RISCHIO 300 MILIONI DI EXPORT PER LE IMPRESE PADOVANE

CRISI RUSSIA-UCRAINA, A RISCHIO 300 MILIONI DI EXPORT PER LE IMPRESE PADOVANE

CONFAPI: «SERVE UN’EUROPA FORTE PER GARANTIRE GLI INTERESSI DELLE NOSTRE IMPRESE»

L’escalation di tensione sul confine ucraino - e di riflesso tra Cremlino e Casa Bianca - preoccupa anche gli imprenditori, perché le esportazioni venete verso l’area valgono più di 1,5 miliardi. Senza considerare gli approvvigionamenti di gas e un’ulteriore, drammatica spinta inflattiva. Il direttore di Confapi Padova Davide D’Onofrio: «Guerra ed eventuali sanzioni sferrerebbero un colpo tremendo al nostro sistema manifatturiero, è in gioco il ruolo stesso dell’UE». Sul tema, Confapi ha raccolto l’autorevole parere del professor Varsori.

 

Il timore di un’imminente invasione russa dell’Ucraina è ancora vivo. Il presidente Usa Joe Biden incalza gli alleati europei a prepararsi al peggio («Un attacco resta sempre possibile»), mentre il mondo assiste allo spostamento di contingenti e mezzi militari nell’area, da una parte e dall’altra. Ma quanto pesanti sarebbero le ripercussioni di un eventuale conflitto per noi? Enormi. Gli Usa cercano di colpire la Federazione nel portafoglio e minacciano di bloccare il gasdotto Nord Stream 2, realizzato per garantire forniture all’Ovest del continente attraverso la Germania, senza entrare nel territorio ucraino. Inoltre, come arma diplomatica, paventano anche il blocco finanziario - come con l’Iran - nei confronti delle istituzioni economico-finanziarie russe, impendendo la conversione dei rubli in dollari. In mezzo gli interessi economici dell’Europa, che ha nella Russia un partner affidabile, da cui riceve il 41% del gas naturale che utilizza, e che rappresenta un mercato di sbocco di tutto rispetto. Anche per le aziende del territorio padovano.

Fabbrica Padova ha preso in esame i dati forniti dall’agenzia per l’internalizzazione Venicepromex su base Istat, da cui emerge che il totale delle esportazioni verso la Russia nel 2020 è salito a quasi 206 milioni, con una crescita del 7,8% rispetto al 2019, pur in un anno fortemente condizionato dalla pandemia. Considerando anche le esportazioni nei paesi confinanti alla Russia ma non inseriti nell’UE, ovvero Bielorussia (13 milioni), Georgia (6,5), Azerbaijan (5) e Kazakistan (7,5), si assommano altri 32 milioni, arrivando a un totale di 238. E la tendenza, come confermano i dati relativi ai primi tre trimestri del 2021, è, appunto, in crescita, perché il totale delle esportazioni verso la Russia nei primi 9 mesi dell’anno ha già superato i 160 milioni, contro i 141 di un anno fa, con un incremento del 13,4%. Allargando la prospettiva alle aziende del Veneto, il totale delle esportazioni verso la sola Russia sale poi a un miliardo e 215 milioni. Senza considerare, poi, le possibili conseguenze sul mercato ucraino che ha dato sbocco a 62,5 milioni di euro di esportazioni nel 2020 per le aziende padovane (che salgono a 304,4 considerando quelle dell’intero Veneto). In totale, ballano quindi circa 300 di export per il mercato padovano e un miliardo e mezzo per quello regionale.

«Quando si parla di guerra il primo pensiero è ovviamente rivolto agli aspetti umani legati al potenziale conflitto. In questa sede ci preme, però, focalizzarci sulle possibili conseguenze economiche», sottolinea il direttore di Confapi Padova Davide D’Onofrio, ospite negli anni scorsi del “Baltic-Black Sea Economic Forum” - congresso internazionale che si svolge nell’Ucraina meridionale, appuntamento di riferimento per analizzare le prospettive di investimento economiche nell’area - e oggi docente di Politiche internazionali per lo sviluppo economico all'Università CIELS di Padova. «Al centro del conflitto abbiamo due mercati in cui l’Italia gioca un ruolo importante. L’Italia è il terzo paese europeo per flussi di scambi con l’Ucraina, dopo Germania e Polonia, con esportazioni nell’ordine di un miliardo e mezzo di euro. Valori che andrebbero moltiplicati almeno cinque volte per raggiungere l’interscambio con la Russia, altro nostro storico partner commerciale. Va da sé che un conflitto fermerebbe tutto questo, innescando una parallela guerra commerciale a colpi di sanzioni e restrizioni, paragonabile all'attuale stato dei rapporti tra Iran ed economie dell’Eurozona: un vero disastro a discapito di un antico e proficuo rapporto di amicizia, soprattutto con l’Italia. Lo scenario andrebbe, inoltre e purtroppo, allargato: la complicata trama di relazioni geopolitiche allargherebbe il conflitto, se non altro commerciale, a macchia d’olio lungo la Via della seta, generando scenari inediti e difficilmente prevedibili, certamente non auspicabili. Il secondo aspetto da considerare è legato alla limitata indipendenza della nostra economia da fattori produttivi quali energia e materie prime: entrambi temi che le nostre imprese hanno imparato a conoscere e a scontarne, già in tempi di pace, il caro prezzo. Basti ricordare che l’approvvigionamento energetico dell’Italia è costituito per il 40% da gas naturale e che il suo costo a maggio 2021 era di 25,4 euro per megawattora, salito a 113,3 euro appena sette mesi dopo. Il rischio è quello di innescare un’ulteriore, drammatica spinta al rialzo dei prezzi. Una circostanza insostenibile per il nostro sistema manifatturiero che avrebbe come immediata conseguenza un calo delle esportazioni nette e, quindi del PIL, innescando una spirale recessiva».

«Un’ultima considerazione», conclude D’Onofrio, «il carosello di leader europei tra Kiev e Mosca a cui stiamo assistendo in questi giorni fa emergere per l’ennesima volta la dolorosa mancanza di una leadership condivisa europea. Le tensioni lungo il confine orientale ucraino rappresentano solo l’ultima partita che nessuno di noi è in grado di affrontare singolarmente. Viviamo in un mondo troppo piccolo per soddisfare il bisogno crescente di risorse degli abitanti che lo popolano. Inevitabilmente questo richiede un nuovo equilibrio internazionale fondato su presupposti diversi da quelli del dopoguerra. Solo l’Unione Europea potrebbe ambire a presidiare, con i suoi 450 milioni di cittadini, un posto al tavolo dei 7 miliardi. Ma per farlo serve capacità di sintesi e una visione comune che ancora latita e preoccupa. Lo sperimentiamo nell’ambito dei rapporti con il partner russo e nell’ambito della tutela della sicurezza della vicina Ucraina. Ma lo stesso discorso vale per il mantenimento dell’ordine nel Mediterraneo e negli Stati che vi si affacciano. E vale, non da ultimo, per un rinnovato equilibrio nei rapporti di forza interni all’alleanza atlantica. L’Europa è chiamata a unirsi per tutelare gli interessi dei Paesi membri, esercitandone l’influenza con una sola, autorevole, voce. Altrimenti, finiremo inevitabilmente per essere divisi e schiacciati da interessi di terzi, molto lontani da quelli delle nostre imprese e dei nostri cittadini. Abbiamo camminato lungo un sentiero di integrazione europea per oltre settant’anni, è arrivato probabilmente il momento di accelerare nell’interesse di tutti. Non solo per garantire un dialogo tra pari con Russia, Cina e, non dimentichiamolo, Stati Uniti ma, più in generale, per mantenere quelle condizioni di pace indispensabili anche per lo sviluppo economico e il benessere sociale».

Per quanto riguarda più nello specifico le esportazioni padovane in Russia, ai primi posti ci sono soprattutto le imprese del settore manifatturiero, quello che pagherebbe le conseguenze peggiori da un inasprimento della crisi. Ai primi posti fra i prodotti più venduti nell’area ci sono infatti macchinari: macchine di impiego generale, per impieghi speciali, per agricoltura e silvicoltura, per un totale di circa 118 milioni di euro. A cui si aggiungono però anche 9,5 milioni di apparecchiature elettriche e 7,4 di pitture, vernici e smalti. Considerevole anche la voce relativa a strumenti e apparecchi di misurazione, prova e navigazione, e orologi, che raccoglie altri 6,4 milioni di vendite, mentre più di 4,5 derivano da strumenti e forniture mediche e dentistiche.

Per fare chiarezza sul perché la crisi fra Russia e Ucraina sia giunta a questo punto e capire quanto è alto il rischio che si arrivi sul serio alle sanzioni, Confapi Padova ha fatto ricorso all’illustre parere del professor Antonio Varsori, tra i maggiori storici dell’integrazione europea e della politica estera italiana, titolare dalla cattedra “Jean Monnet” di Storia dell’integrazione europea all’Università degli Studi di Padova, la cui intervista integrale è in allegato: «Putin non può accettare che l’Ucraina, un paese immenso e ricco, entri nell’alleanza atlantica. La sua reazione è stata una dimostrazione di forza, con lo schieramento delle truppe al confine. Non credo voglia sul serio invaderla, ma vuole far vedere che può farlo. Lui è un politico abile, sa fino a che punto può spingersi e sa anche che, dall’altra parte, c’è un presidente americano debole come Biden. Biden, a sua volta, dopo la disastrosa ritirata afghana, deve a sua volta dimostrare che è forte e può rispondere, facendo vedere che può mobilitare velocemente le truppe. L’atteggiamento europeo è diverso da quello americano, perché l’Europa ha importanti rapporti economici con la Russia. Di fatto, l’Europa prova a mediare mentre assiste a una reciproca dimostrazione di forza. Se la domanda è: come andrà a finire? Rispondo che ci vorrà del tempo e che ci attendono mesi di tensione, ma credo che la crisi si raffredderà. Scollegare il settore bancario russo dal sistema di pagamenti internazionali Swift e bloccare il progetto Nord Stream 2 per gli Stati Uniti sarebbe infatti un grosso errore anche sul piano strategico, perché l’unico attore che potrebbe trarne reale vantaggio sarebbe la Cina».

 

Nella foto in allegato il direttore Davide D’Onofrio