Paparo: «I tempi sono cambiati, è diversa la percezione dell’occupazione»
«Sono anni che si parla del problema dei posti di lavoro scoperti, senza candidati, ma è in questi ultimi 18-20 mesi che questa esigenza è diventata davvero pressante».
A parlare è il direttore di Confapi (piccola e media industria) di Piacenza, Andrea Paparo, che subito sottolinea come sia inutile cercare una sola ragione.
«Non è un problema solo di stipendi, di formazione professionale, di politiche imprenditoriali - spiega Paparo -. Le ragioni sono molteplici, è un tema anche culturale. Noi come Confapi abbiamo commissionato di recente uno studio dove le nostre piccole e medie imprese sono viste come attraenti per il lavoro, considerando la loro flessibilità e la presenza sul territorio, cioè la vicinanza a casa. Emerge però dallo studio come i tempi siano cambiati, per la ricerca del posto di lavoro».
Quale è il dato più rilevante, secondo lei, di questa indagine?
«Il fatto che il 39% degli intervistati mette al primo posto tra le sue esigenze la qualità della vita. Siamodi fronte a un cambiamento sociale. È cambiata molto la percezione del lavoro, anche con lo smart working, e certi tipi di occupazione sono poco attraenti. Anche il tema dell’adeguamento tecnologico nelle aziende è rilevante, perché diventa un fattore attrattivo per i posti di di lavoro. Soprattutto per i giovani».
Ma quali sono le prospettive piacentine? Certi mestieri resteranno davvero “scoperti”?
«Il mondo del lavoro piacentino è ben strutturato, tiene, e questo forse ha fatto slittare in avanti il problema ma ora si pone con forza per tutta una serie di figure tecniche mancanti».
Qualcuno dice che le retribuzioni basse certo non invogliano a dedicarsi a certe specializzazioni...
«Le retribuzioni ritengo non siano il punto centrale. E poi non è così. Ad esempio, nel settore metalmeccanico da noi le retribuzioni sono mediamente alte. Ma non vogliamo nasconderci. Si può discutere anche di premi di produzione, di incentivi, le aziende sono disponibili a questo approccio».
Ma cosa si deve fare concreta mente?
«Come dicevo, i fattori che incidono su questa fuga da alcuni tipi di lavoro sono molteplici. È necessario sicuramente fare più comunicazione, mostrare ai ragazzi e alle famiglie le prospettive per alcune figure professionali, che sono senz’altro buone. Ma serve una regia più ampia in questo sforzo, anche da parte delle istituzioni, della Regione. Orientare non significa non tenere conto dei legittimi desideri dei ragazzi, ma illustrare loro tutte le possibilità, comprese quelle che diventeranno o sono già molto attraenti da un punto di vista professionale e anche retributivo».
E il ruolo delle aziende quale è?
«Le aziende sono disposte a investire in formazione e nell’inserimento, soprattutto a Piacenza dove c’è una cultura imprenditoriale e c’è anche una ottima tradizione di buoni tecnici. Anche grandi gruppi, dopo l’acquisizione da parte di multinazionali, sono rimasti sul territorio perché hanno visto che potevano contare su delle buone professionalità. Questo è l’investimento vero. Poi le imprese vanno anche aiutate. Noi come Confapi le sosteniamo con una banca dati comune che le mette in contatto con le agenzie di formazione e crea un punto d’incontro tra richieste e offerte di lavoro, anche specializzato. Ma l’informazione è la chiave di tutto: informazione ai genitori, ai ragazzi, alle aziende che sanno bene di dover svolgere anche una funzione educativa sui nuovi assunti. C’è anche una dimensione etica dell’imprenditoria che qui a Piacenza esiste, è radicata e va assolutamente valorizzata».