Fabbrica Padova, centro studi dell’Associazione, ha chiesto al prof. Roberto Antonietti del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno” dell’Università di Padova di analizzare le cause del fenomeno e ipotizzare il comportamento dei prezzi nei prossimi mesi. Il presidente di Confapi Padova Carlo Valerio: «La speculazione che soffia sui rincari delle materie prime non solo si ripercuote sui bilanci delle nostre imprese ma anche sul portafoglio dei cittadini».
Il caso più eclatante è quello dell’acciaio: il tondo per cemento armato fa segnare un incremento del 117% tra novembre 2020 e aprile 2021. Ma, dai metalli al legno, fino alla plastica, tra le materie prime nessuna è immune dagli aumenti. Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha calcolato come siano almeno 19 mila quelle direttamente minacciate dalla “bolla” nel territorio della provincia. Per far luce sulle ragioni di questi rincari indiscriminati ha così chiesto un intervento a Roberto Antonietti, professore associato di politica economica dell’Università di Padova - Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno”. L’obiettivo è quello di andare alla radice del fenomeno, «perché», come sottolinea il presidente di Confapi Padova Carlo Valerio, «sempre più imprese ci chiedono di farsi carico della questione. La nostra struttura industriale è messa a dura prova, oltre che dalle conseguenze della pandemia, da questa improvvisa accelerazione verso l’alto dei prezzi. Ma non dimentichiamo che la speculazione finanziaria che soffia sui rincari delle materie prime non solo si ripercuote sui bilanci delle nostre imprese ma anche sul portafoglio di tutti cittadini, che pagheranno le conseguenze dell’inflazione. Governo e Unione Europea devono intervenire per fare in modo di rendere reperibili tali beni a un prezzo calmierato».
Il primo elemento che ha inciso sulle dinamiche di prezzo delle materie prime riguarda l’adozione dei pacchetti di stimolo da parte delle principali economie avanzate ed emergenti. E da qui parte l’analisi del professor Antonietti. «Il fatto che i governi cinese e americano prima, e dell’Unione Europea poi, abbiano adottato (o stiano adottando) degli ingenti pacchetti di stimolo fiscale per rilanciare le proprie economie rappresenta un forte impulso dal lato della domanda. Questa accresciuta domanda va poi accompagnata da un contestuale cambiamento nelle preferenze dei consumatori, sempre più orientati al commercio digitale e sostenibile, nonché all’accelerazione nella transizione digitale ed ecologica. Sono questi i tipici fattori di natura transitoria legati prevalentemente al ciclo economico, solitamente di durata 2-8 anni, e che incidono maggiormente sui prezzi delle materie prime di natura metallifera, mediamente più sensibili alla domanda proveniente dai settori industriali più pesanti (edilizia, metallurgia, siderurgia, chimica). A queste tendenze di breve periodo possono accompagnarsi alcune dinamiche di medio termine (di durata tipica di 8-20 anni) legate a politiche di investimento, specialmente riguardanti le materie energetiche. Shock di natura permanente, invece, sembrano riguardare prevalentemente i beni agricoli ed energetici, causati dell’esaurimento delle risorse e dal cambiamento tecnologico (come, ad esempio, lo sviluppo della tecnologia per l’estrazione del petrolio di scisto, o shale oil, che ne ha reso gli USA un paese esportatore netto dal 2019). Accompagnato da un contestuale periodo di debolezza del dollaro, tutto questo ha portato a un aumento nel prezzo di diverse commodities, quali petrolio, rame, stagno, nickel, legno, carta, plastica (PVC, polipropilene e LDPE in testa), alluminio, e acciaio (soprattutto HRC e CRC), che hanno colpito numerosi settori economici (soprattutto legno e carta, meccanica, metallurgia e alimentare)».
Se le politiche espansive incidono e incideranno sul fronte della domanda, occorre anche soffermarsi su quello dell’offerta. «Se l’offerta di petrolio è pressoché interamente regolata dall’OPEC (e le dinamiche di prezzo del gas naturale sono fortemente correlate), diverso è il discorso per i metalli e i beni agricoli», continua il professor Antonietti. «Per questi, diversi fenomeni hanno contribuito a ridurre o rallentarne la produzione. Gli scioperi dei lavoratori nei comparti estrattivi e portuali in Cile e i rallentamenti delle attività estrattive in Perù hanno, ad esempio, frenato la produzione mondiale di rame. La produzione di minerali ferrosi ha, invece, risentito del rallentamento delle attività estrattive in Australia. Il rallentamento della produzione di alluminio e acciaio dalla Cina, inoltre, ha contribuito, tra l’altro, a contrarre l’offerta di container per il trasporto delle merci, allungando i tempi di consegna e provocando un forte aumento nei costi di logistica. Per alcuni beni agricoli, invece, si registra un forte aumento di prezzo particolarmente in alcune aree del pianeta, come l’America Latina, colpite da alcuni fenomeni naturali avversi».
Infine, occorre ricordare come molte commodity fungano anche da asset nei mercati finanziari. «Nella misura in cui, alla luce dell’evolversi della pandemia e delle relative risposte di policy, le aspettative dei grandi investitori si orientino verso una rapida ripresa dei consumi e degli investimenti globali, ecco che assistiamo a fenomeni speculativi che vanno ad accentuare gli aumenti di prezzo di molte materie prime, tra loro correlate».
Alla luce del quadro appena descritto, quali sono le previsioni sull’andamento dei prezzi per i prossimi mesi ed anni? «Una risposta univoca a questa domanda, di fatto, non esiste», spiega il professor Antonietti. «Secondo le previsioni della Banca Mondiale e di Intesa San Paolo il prezzo del petrolio e delle materie energetiche correlate dovrebbe assestarsi ad un +30% nel 2021, seguito da un incremento molto inferiore nel 2022, grazie a un graduale aumento nell’offerta concordata dall’OPEC. Correlati al petrolio, anche diversi beni agricoli (come il grano) potrebbero vedere un graduale assestamento (comunque al rialzo rispetto al 2019) dei prezzi nel 2022, a causa dell’adeguamento dell’offerta e al rallentare della speculazione finanziaria. Per quanto riguarda le risorse metallifere, se il 2021 registrerà un aumento medio dei prezzi pari a circa il 30%, il 2022 potrebbe vedere una riduzione, indotta dall’adeguamento dell’offerta mondiale e dal rallentamento della speculazione finanziaria».
Qual è l’impatto di tutto questo per le imprese italiane? «Inutile sprecarsi in proclami troppo ottimistici. I rincari prima descritti nelle quotazioni delle materie prime hanno contribuito, contribuiscono e contribuiranno ad aumentare i costi di produzione, soprattutto nei comparti manifatturieri. Questo aumento dei costi, accompagnato dalla lentezza ad adeguare al rialzo i listini dei prezzi, si innesta in un’attuale situazione di grande sofferenza per le imprese, che hanno visto ridursi notevolmente i margini operativi, il mark-up e, di conseguenza, i flussi di cassa e le risorse per gli investimenti. Il quadro che si annuncia per i prossimi mesi è sicuramente di stress: a imprese e famiglie in difficoltà economica, si potrebbero anche aggiungere dei potenziali rialzi del tasso di inflazione».
Nella foto il presidente Carlo Valerio