Il centro studi Fabbrica Padova ha preso in esame i dati appena prodotti da Ice e Istat: l’export italiano cresce dello 0,2%, cala il Nord-Est ma le imprese padovane vanno in decisa controtendenza. Germania, Francia e Usa i principali sbocchi. Il presidente Carlo Valerio: «Asse atlantico centrale. Abbiamo saputo assorbire l’aumento dei prezzi di energia e materie prime. Guardiamo al futuro con cauto ottimismo a causa del contesto geopolitico». Le testimonianze di Sirman, P3, Gaudenzi e JVP.
L’export italiano tiene, in un contesto di commercio mondiale negativo: nel 2023 l’Italia ha superato la Corea del Sud ed è diventata il sesto Paese tra i principali operatori all’estero. A livello nazionale le esportazioni di merci ammontano a 626 miliardi, con un +0,2% rispetto al 2022, per effetto di una contrazione dei volumi del 5% controbilanciata dall’aumento dei prezzi all’export (+5,3%). E il territorio? Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha preso in esame nello specifico la situazione a partire dall’annuario statistico Istat-Ice 2024, da pochi giorni a disposizione. Ebbene, il Nord-Est frena soprattutto a causa del calo del Friuli Venezia Giulia (-13,7%), mentre il Veneto registra una regressione lieve (-0,3%), confermandosi però come terza regione in Italia con quasi 82 miliardi di esportazioni. Da rimarcare la netta controtendenza della provincia di Padova, che tocca un risultato mai raggiunto prima, con un +4,15% delle esportazioni del 2023 rispetto al 2022.
È suo l’exploit più significativo nel territorio. In testa per valori assoluti tra le province venete c’è Vicenza, con 23,028 miliardi di euro di esportazioni nei 12 mesi, ma in calo rispetto ai 23,584 miliardi del 2022. Seguono Verona, con 15,375 miliardi (con un leggero aumento rispetto ai 15,284 dell’anno precedente) e Treviso, che però registra una contrazione, scendendo da 16,394 a 16,214 miliardi. Padova, per contro, passa da un totale di 12,979 miliardi di esportazioni a 13,518. Ed è ancora più significativo rapportare questi numeri a quelli di un decennio fa, quando il volume dell’export della provincia si fermava a 8,506 miliardi: l’incremento record tocca il 59%. Considerando che il Pil padovano si attesta sui 35,6 miliardi, si può osservare che il 38% è generato proprio dal commercio con l’estero, anche in questo caso con una percentuale superiore rispetto a quella che si ha allargando il quadro all’intera Italia, per la quale l’export pesa circa per un terzo del Prodotto interno lordo.
Nello specifico, per le imprese padovane, resta determinante la voce relativa alla fabbricazione di macchinari e apparecchiature, che alimenta un volume di esportazioni pari a 4,29 miliardi (contro i 3,98 del 2022), seguita dai prodotti delle altre industrie manifatturiere (1,35 miliardi, erano 1,30) e da quelle relative ai prodotti della metallurgia, dove però si registra una contrazione da 1,60 miliardi a 1,27 fra il 2022 e il 2023.
Per quanto riguarda i paesi di sbocco, la Germania rimane il principale interlocutore delle imprese del territorio, nonostante il rallentamento dell’economia tedesca: le esportazioni verso Berlino ammontano a 1,85 miliardi (nel 2022 erano pari a 1,75). Segue la Francia, verso la quale le merci vendute nel 2023 assommavano 1,64 miliardi (contro gli 1,43 miliardi di dodici mesi prima), e gli Stati Uniti, a cui sono destinati prodotti per 1,24 miliardi (nessuna variazioni sostanziale col 2022). Nel complesso, l’Unione Europea incide sul totale delle esportazioni padovane per quasi 8 miliardi.
«L’Italia è in una situazione di assestamento», commenta il presidente di Confapi Padova Carlo Valerio. «Questo contesto ha premiato chi, come le aziende padovane, ha saputo diversificare i mercati di riferimento, promuovendo un Made in Italy di qualità. In questo sforzo corale, che coinvolge Governo, Ice e tutti gli enti che lavorano con l’estero, un ruolo di primo piano lo rivestono proprio le associazioni di categoria come la nostra, chiamate ad accompagnare le imprese, indicando la rotta. I mercati occidentali, al riparo dalle crisi geopolitiche, si dimostrano trainanti per l’export padovano, ma, in generale, vediamo come diversificare i mercati sia importante perché, se il commercio con una nazione è in contrazione, altre possono bilanciarla. In questo senso, altre regioni sono più “monotematiche”, il Veneto, invece, presenta una varietà assoluta di settori e mercati di riferimento, e Padova in particolare. Io però allargherei la prospettiva all’intera Italia, che registra una crescita nelle esportazioni rispetto al 2019, ultimo anno pre-Covid, di 30 punti percentuali, e di 60 punti percentuali rispetto al 2013. Non è tutto: il Pil italiano nell’ultimo anno ha registrato un tasso di crescita dello 0,9%, un aumento per il terzo anno consecutivo superiore alla media dell’Eurozona e a quelli di Francia e Germania. Dati che rimarco perché troppo spesso si ama dipingere l’Italia come una nazione in declino, mentre non è così. E di positività c’è bisogno, non solo nel mondo imprenditoriale».
«Negli scorsi mesi abbiamo dovuto fare i conti con un quadro generale che ha impedito un po’ a tutte le imprese di osare», prosegue il presidente Valerio nella sua analisi. «Pensiamo a fattori come i prezzi delle materie prime, ma anche alla debolezza di alcuni importanti partner economici come la Germania (verso cui è diretto quasi il 14% delle esportazioni regionali) e alle tensioni internazionali che si sono aperte su più fronti con i conflitti Russia-Ucraina e Gaza-Israele. Eppure abbiamo saputo reagire. E potremmo farlo con ancora maggiori energie. Cito un altro dato di fonte Unioncamere: le imprese italiane manifatturiere che avrebbero le carte in regola per esportare i propri prodotti all’estero, ma non lo fanno o lo fanno saltuariamente, sono circa 45 mila. È stato calcolato che portare sui mercati esteri queste imprese avrebbe un impatto sull’incremento dell’export manifatturiero di circa il 7%, corrispondente a un aumento in valori assoluti stimabile intorno ai 45 miliardi di euro. Lo sottolineo perché ci sono margini di crescita evidenti, su cui intervenire».
La testimonianza del presidente Valerio è però significativa anche sul piano diretto, essendo socio della JVP di Piove di Sacco, impresa che realizza pavimenti tecnici sopraelevati in acciaio, con un fatturato di circa 12 milioni di euro, sui quali l’export incide per più dell’80%. «JVP oggi è in linea con lo scorso anno, ma c’è incertezza sulle prospettive di settembre perché i tempi delle decisioni dei clienti sono molto più elastici rispetto al passato: succede perché il cliente sa che c’è disponibilità nei prodotti e questo lo spinge a programmare con meno anticipo. A conti fatti si alternano periodi di rallentamento e altri di forte richiesta, difficili da affrontare. Ecco perché serve un forte controllo di gestione e perché guardiamo al futuro con un ottimismo mitigato dalle tante variabili geopolitiche in essere. In JVP nel 2023 abbiamo registrato una contrazione nei volumi legata alla situazione generale, in parte assorbita dall’aumento dei prezzi di vendita, dopo aver pagato il rincaro di energie e materie prime. Questa è però una possibilità a disposizione di chi mette in commercio un prodotto proprio. Non a caso i terzisti hanno risentito molto di più della crisi tedesca».