Nel quarto trimestre 2020 il fatturato delle Pmi bresciane non si muove particolarmente ma registra qualche segno di vivacità. Poco meno di un'impresa su due (46%) afferma infatti di avere un fatturato in crescita - seppur spesso in modo lieve - rispetto al trimestre precedente. Resta pesante però la situazione di 4 intervistate su 10, in cui il fatturato e la produzione sono in calo anche nel quarto trimestre. A osservarlo è l'indagine congiunturale del Centro Studi di Apindustria Brescia che analizza un campione di cento imprese associate. Per quanto riguarda gli ordini, il 9% delle imprese registra crescite superiori al 20% e un altro 8% tra il 10 e il 20%. Complessivamente le imprese che hanno il segno positivo alla voce ordini sono il 42% del campione. Allo stesso modo ci sono però quattro imprese su dieci che hanno ordini in calo, alcune in modo piuttosto significativo. Nel complesso il 2020 è ovviamente costellato da tanti segni meno: l’87% delle imprese riduce la produzione e di rimando cala proporzionalmente il fatturato (8 su 10). Tre imprese su dieci hanno continuato ad investire e l'occupazione ha retto. «Sollecitate a dare uno sguardo al primo semestre 2021, le imprese confidano in una stabilità dei mercati esteri - osserva il centro studi di Apindustria -. Nel mercato domestico, al contrario, sembrano confermarsi opportunità di crescita per un numero pur limitato di imprese; l’Italia resta comunque un’area caratterizzata da elevata instabilità». «I dati del 2020 non stupiscono e siamo molto preoccupati per quel 40% di imprese che si dice in forte difficoltà e registriamo qualche piccolo segnale positivo nella parte finale dell'anno - osserva il Presidente di Apindustria Pierluigi Cordua -. Il 2021, complice la crisi sanitaria ancora in corso, si caratterizza ancora per una forte instabilità ma continuiamo ad avvertire una voglia di ripartenza. Se si riuscirà a tornare a livelli di normalità accettabili, confidiamo in qualche sorpresa positiva nella seconda parte dell'anno». Un grande motivo di allarme è legato alla dinamica dei prezzi delle materie prime. T-Commodity, società di consulenza che collabora con Apindustria, osserva che il comparto delle materie prime ha chiuso il 2020 registrando importanti aumenti di prezzo. Dal minimo toccato lo scorso 23 marzo, nel pieno della crisi pandemica, l’indice LME (che raggruppa gli andamenti dei metalli non ferrosi) segna un rincaro del 47% (grafico in basso) trainato in particolare da rame (+68%) nichel (+51%) e zinco (+51%). Un aumento della dinamica dei prezzi legato al forte aumento della domanda proveniente dalla Cina (non per caso uno dei pochi Paesi che ha chiuso il 2020 con il Pil positivo) da un lato ma anche a restrizioni dell'offerta dall'altro. Secondo quanto osservato da analisti e principali banche d’affari e istituti di ricerca il trend rialzista dei prezzi delle materie prime perdurerà nel corso del 2021. Nell'indagine di Apindustria il 44% degli intervistati esprime preoccupazione per la forte volatilità dei prezzi. Da oltre un quarto degli intervistati emerge però soprattutto l'allarme per la rapida crescita nelle richieste di revisione contrattuale. «Abbiamo numerose segnalazioni che provano pratiche scorrette da parte di alcune multinazionali dell’acciaio che, operando in situazione di oligopolio, si sentono padrone di fare quello che vogliono, comunicando aumenti retroattivi unilaterali legalmente vietati su contratti già in essere - sottolinea Pierluigi Cordua -. Una situazione allarmante al punto che, con Confapi, stiamo valutando concretamente l'ipotesi di una denuncia all'autorità garante del mercato. La nostra impressione è che alcuni big player stiano cavalcando una situazione già di per sé drammatica, scaricando il problema sulle Pmi. A questo purtroppo dobbiamo aggiungere la recente impennata del nolo container che è pressoché raddoppiato».