Tra stagnazione e ripresa: l’anno appena iniziato dovrebbe segnare un +1,1% nel Pil regionale veneto, a dispetto dello 0,5% a livello nazionale e del +3,4% della media mondiale. A pesare sono le difficoltà della Germania nell’automotive e le guerre commerciali internazionali. Il presidente di Confapi Padova Carlo Valerio: «Per recuperare il divario con le principali economie servono chiarezza e stabilità degli incentivi e delle norme, dando continuità alle misure fiscali che si sono rivelate efficaci».
Come sarà il 2020 per l’economia del territorio? Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha raffrontato gli indicatori più significativi. Le previsioni per il Veneto stimano un aumento complessivo del valore aggiunto pari a un +1,1%, guidato dall’incremento di industria e servizi, a cui si aggiunge la ripresa nel settore delle costruzioni, che dopo la depressione degli ultimi anni ha dato un segnale di ripresa “modesto ma significativo”, per rifarsi alla formula utilizzata nell’ultimo aggiornamento del 2019 di Bankitalia sulle economie regionali. Il +1,1% nel Pil (fonte Prometeia) è la sintesi delle previsioni di crescita lieve della domanda interna (+1,2%) ed estera (+1,8%), della stabilità dei consumi delle famiglie (+1,1%) e degli investimenti (+2,5%).
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, nel 2019 l’offerta è rimasta stazionaria, dopo l’aumento ininterrotto degli ultimi tre anni, favorendo il calo del tasso di disoccupazione al 5,9%: in base ai dati forniti da Unioncamere del Veneto nei primi due mesi del 2020 sono previste assunzioni nelle imprese per 80.780 lavoratori, di cui 32.900 nelle industrie e 47.880 nei servizi.
Determinanti restano poi le esportazioni, col Veneto che si assesta come terza regione in Italia dopo Lombardia ed Emilia Romagna, rappresentando il 13,7% del totale dell’export italiano, grazie al ruolo trainante di alcuni settori, a partire dalla meccanica strumentale. Secondo le proiezioni di Sace Simest, nonostante le incertezze e il clima di tensione geopolitica, nei prossimi anni l’export italiano continuerà infatti ad avanzare (+3,4% nel 2019 e +4,3% nel 2020-2022) sfiorando i 500 miliardi di euro già nel 2020 (quello Veneto secondo le stime di Fabbrica Padova toccherà i 68,5 miliardi).
Ovviamente i dati vanno analizzati e interpretati, anche perché stiamo comunque parlando di una crescita presente ma moderata. «L’economia italiana non può certo correre, in un contesto che prefigura una possibile recessione a livello globale, e non può farlo quella veneta. Le difficoltà della Germania nel settore auto si ripercuotono sul nostro sistema produttivo, che è un subfornitore qualificato, e gli effetti delle guerre commerciali sono destinati ad avere effetti inevitabili anche sulla nostra economia, da sempre caratterizzata da una forte propensione alle esportazioni», evidenzia il direttore di Confapi Padova Davide D’Onofrio. «Due indicatori, su tutti, danno il quadro della situazione: il rallentamento della Cina (+6,1%, l’incremento più basso da oltre un decennio) sta coinvolgendo anche altri Paesi asiatici e l’azzeramento della crescita in Germania, con un +0,5% nel 2019, si riflette sulle economie del resto d’Europa (ferma al +1,2%). Per il Pil italiano la crescita non andrà oltre lo 0,5% nel 2020, mentre la stima per la media mondiale è del 3,4%, ma a preoccupare, e non poco, è anche il livello del debito pubblico nazionale».
E qui si tocca un altro punto chiave, perché, per quanto sia stato positivo l’impatto di Impresa 4.0, da solo non basta per consentire all’Italia di tornare a correre. «Per recuperare il divario con le principali economie internazionali servono chiarezza e stabilità degli incentivi e delle norme, dando continuità alle misure fiscali che si sono rivelate efficaci, come il rifinanziamento dell’iper-ammortamento per le spese d’acquisto di beni strumentali che utilizzano tecnologie digitali, proseguendo nell’azione di sblocco dei cantieri ancora fermi per spendere le risorse pubbliche che sono state stanziate», è l’analisi del presidente di Confapi Padova Carlo Valerio. «E occorre continuare a investire in modo sempre più risoluto sulle persone e, nello specifico, sulla loro formazione (mi riferisco allo scollamento tra domanda e offerta formativa, alla mancanza di dialogo tra Impresa e Scuola e Università, al tema dell’orientamento allo studio e al ruolo che sempre più dovranno avere gli Istituti Tecnici Superiori) attuando una politica industriale di medio-lungo periodo che consenta alle imprese di pianificare con stabilità i propri investimenti, perché quello che pesa, oggi, è la mancanza di indirizzi chiari e di lungo respiro sul progetto Nazione che l’Italia vuole darsi. L’Italia soffre la concorrenza di altri continenti e paesi più giovani e con sistemi di produzione, mercato del lavoro e relative tutele completamente differenti dai nostri. Teniamo conto che competere in velocità e volume di produzione appare impossibile: saranno sempre più veloci di noi. Ma, dalla nostra parte abbiamo la storia, la cultura, la tradizione, l’abilità, la creatività e l’inventiva per superare questo gap».